6. 18 marzo 1848: iniziano le “cinque giornate di Milano”
Domande
Descrizione e Analisi
Lo scoppio dell’insurrezione milanese avviene forse più rapidamente e più silenziosamente di quelle delle altre città italiane: fino al pomeriggio del giorno prima, le notizie sui disordini e le manifestazioni nelle altre zone dell’Impero sono ancora confuse e prive di conferma. Ma, quando le voci sono confermate dall’arrivo del corriere, immediatamente si decide, in varie riunioni, di organizzare una manifestazione davanti al municipio per chiedere la libertà di stampa, la guardia civica, la convocazione di una rappresentanza nazionale, la neutralità dell’esercito. Le intenzioni dei dimostranti sono pacifiche, anche se in realtà, trattandosi di una manifestazione improvvisata, nessuno può prevedere come si sarebbe evoluta la situazione. Il 18 marzo ventimila persone si presentano sotto il palazzo del podestà, ossia il sindaco della città, gridando le loro rivendicazioni ma in modo spontaneo, senza una guida politica vera e propria. A questo punto, l’iniziativa è assunta dallo stesso podestà, Gabrio Casati, che si fa portavoce presso il governo austriaco delle richieste dei dimostranti. Casati è un liberale moderato, filo piemontese, tanto da cercare di controllare la situazione di disordine mantenendosi il più possibile sul terreno della legalità. Ma mentre si portano le richieste popolari al palazzo del governo austriaco, un altro corteo lo ha già assaltato, in modo violento, uccidendo due guardie, devastandone i locali e sfregiando il ritratto dell’imperatore. Solo l’intervento tempestivo di Casati riesce a portare in salvo il vicepresidente dell’Imperial Regio Governo, costringendolo però a firmare tre decreti: uno per concedere la Guardia civica, un altro per destituire il capo della polizia, un terzo per intimare la polizia a consegnare le armi alla civica. Ciò comunque non è sufficiente a fermare l’insurrezione che ormai è cominciata: il popolo milanese inizia a costruire le prime barricate con i primi oggetti a portata di mano, un carro, le panche di una chiesa, le carrozze delle scuderie del palazzo del governo. Nessuno comanda l’insurrezione: la città si solleva spontaneamente, senza una vera e propria guida, innalzando il tricolore come simbolo delle aspirazioni indipendentistiche. Carlo Cattaneo, uno dei più lucidi intellettuali del tempo, antipiemontese e sostenitore del progetto democratico federalista, all’inizio nutre sfiducia nella rivolta che considera velleitaria rispetto alle sovrastanti forze militari austriache. La ribellione invece continua tanto da mettere in seria difficoltà il contingente militare austriaco che tenta di impedire che i milanesi si riforniscano di viveri ma che è continuamente bloccato nei suoi spostamenti perché ogni pochi metri sorge una nuova barricata. Ce ne sono più di mille e seicento e dalle finestre si spara o si buttano acqua bollente, tegole, oggetti contundenti. In tutte la porte principali della città infuria la battaglia, mentre i cittadini cercano di reperire ogni arma disponibile, persino saccheggiando i depositi del Teatro della Scala prendendo le armi dei cantanti. (domande 1 -2 -3)
Contrariamente alle aspettative nutrite dalle autorità austriache, le campagne partecipano all’insurrezione:”La città – scrive un ufficiale austriaco – è circondata da migliaia di contadini armati ed esaltati che sparano sui soldati sopra i bastioni mentre gli stessi vengono bersagliati anche dall’interno.” Dopo cinque giorni di scontri durissimi tra patrioti armati alla meglio e protetti dalle barricate da un lato e la guarnigione militare austriaca dall’altro, Milano viene liberata: le autorità austriache si allontano insieme all’esercito, mentre in città si forma un Governo provvisorio, presieduto ancora una volta da Casati, che per il momento rinvia a dopo l’indipendenza la scelta dell’assetto da dare allo Stato. Tre giorni più tardi le truppe piemontesi arrivano a Milano. Le classi popolari pagano pesantemente il prezzo della loro attiva partecipazione alla rivolta: fra i circa 250 caduti negli scontri, di cui si conosce la professione, gli artigiani e gli operai sono 160, i domestici e gli inservienti 25, i contadini 14, i commercianti 29, le donne 38, in gran parte operaie, ma solo 3 i possidenti, qualche ingegnere, un prete e un gruppetto di studenti. (domanda 4)
Altre informazioni
Una vera e propria cronaca delle vicende del ’48 a Venezia, Milano e Roma si può trovare nell’opera Saggio sulla rivoluzione italiana del 1848 scritto da Cristina Trivulzio di Belgioioso, fervente patriota e attiva sostenitrice della causa rivoluzionaria, disponibile in http://www.url.it/donnestoria/testi/belgioioso/rivoluzioni.htm
Le insurrezioni si diffondono in altre città italiane
Dopo le rivoluzioni di Venezia e Milano, tra la fine di marzo e l’aprile del 1848, anche nei piccoli ducati di Parma e Piacenza e in quello di Modena i sovrani lasciano il campo a governi provvisori di ispirazione liberal-nazionale, che organizzano corpi di spedizione da inviare in aiuto all’esercito piemontese. Nei mesi successivi queste città esprimono quasi all’unanimità, attraverso i plebisciti, la loro volontà di essere annesse al regno di Sardegna. Come effetto delle annessioni il 27 luglio si forma il primo ministero “italiano”, un governo composto dai rappresentati di diverse città italiane cui vengono affidati i vari ministeri, interrotto dopo breve tempo a causa del disastroso andamento della guerra contro l’Austria.